foto gianni quilici |
Ringraziando il Signore, non ho più vent’anni e nemmeno
trenta: un tempo lontano ben più di mezza vita. Allora trasudavo energia,
mangiavo in maniera pantagruelica e dissennata e i miei capelli erano neri come
le penne di un corvo, fitti e forti. Andavo a letto tardissimo, mi svegliavo
prestissimo: non accusavo la fatica, non lamentavo nessun deficit di sonno, non
indossavo occhiali. Come molti miei coetanei
mi entusiasmavo a qualsiasi cazzata apparisse sull’orizzonte culturale e
politico del tempo che il Destino mi aveva assegnato come La Mia Giovinezza e,
alla pari di loro, mi impegnavo duramente a immegliare il Mondo.
Non poche donne si contendevano le mie attenzioni e
scegliere tra questa, quella, l’altra e, magari, l’altra ancora non era cosa
facile, ma, sia pure con qualche fatica e complicati girigogoli, riuscivo a
sfangarla…
Ora, bella domanda, chiedimi se ero felice. Eri felice?
Non lo so, non credo. Era tutto così confuso, affannato, complicato. Vivere in
quella terra di mezzo e di nessuno tra la fine degli studi e l’inizio della
professione mi creava un’ansia indicibile. Per non parlare del disagio di
mantenersi continuamente all’altezza di un mondo adulto già strutturato e poco
accogliente, severo, quando non arcigno.
La percezione che ho ora di quegli anni è quella di una
perenne inadeguatezza: qualcuno prima di te aveva sempre già pensato i tuoi
pensieri, progettato i tuoi progetti, sognato i tuoi sogni! Se mi ripenso, mi
vedo impegnato in una perenne rincorsa, un interminabile inseguimento in cui
qualcuno spostava sempre in avanti la linea del traguardo. Comunque ho avuto
fortuna: e per un bel tratto di esistenza ho svolto il lavoro per cui avevo
studiato, anche divertendomi: leggevo Dante e Leopardi e mi pagavano pure.
Poi, finalmente, sono invecchiato. E invecchiando ho
ancora avuto culo: sono andato in pensione. Ho preso qualche chilo abbondante,
ho perso i capelli, il viso ora è segnato da più di qualche ruga, ho inforcato
gli occhiali. Le donne hanno smesso di interessarsi alla mia persona e così mi
hanno lasciato il tempo per occuparmi, finalmente, di quello che avrei voluto
fare da grande: leggere, scrivere certune paginette che - a mio parere e sia
pure in palese conflitto d’interesse - non sono niente male, coltivare amicizie
significative.
Il sesso? Mah, direi che, oggi come oggi, mi appare ampiamente
sopravvalutato e non riesco più a capire come abbia potuto perderci tanto
tempo. La competizione professionale? Percaritàdiddio, la lascio agli altri.
Accomodatevi e, come dice il poeta Francesco (il mio coetaneo Guccini, non
l’algido Petrarca!), “andate e fate”. Vi osservo con distacco, e anche la
pretesa di cambiare il mondo, che pure mi è appartenuta, mi suscita adesso solo
un tiepido calore di fiamma lontana. Mi sono fatto cinico? No, probabilmente
sono diventato solo un po’ più saggio.
Ora, chiedimi di nuovo se sono felice. Sei felice? No,
solo un po’ più sereno. Ogni tanto mi capita di vedermi riflesso nella vetrina
di qualche negozio, i pochi ancora aperti. Mi guardo e mi interrogo su chi sia
quel signore maturo e sconosciuto che mi fissa. Se lo incontrassi per strada,
penso che ne apprezzerei il portamento finalmente sicuro, l’ironia che trapela
dagli occhi, la disponibilità al sorriso. Conquiste faticose e per questo
irrinunciabili.
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