Era trascorso velocemente a Lucca il turbine
giacobino. Solo una veloce apparizione, alla cui brevità contribuirono la
scarsità e immaturità dei suoi esponenti politici, l’ostilità dell’aristocrazia
e del clero e l’avversione sanfedista particolarmente robusta anche nelle
campagne della Toscana. A Lucca, come del resto in Italia e nella stessa terra
d’origine della rivoluzione, la
Francia, subentrava un desiderio, tutt’altro che effimero,
d’ordine e di legalità. Vogliamo fissare uno spartiacque a sancire per Lucca
questo prima e questo dopo?
Eccola: è il 14 luglio (notate la densità simbolica di questa data!) 1805,
quando, a mezzogiorno preciso, Elisa Marianna Bonaparte, sorella di Napoleone da
pochi mesi incoronatosi imperatore, e suo marito, Felice Baciocchi, fanno il
loro ingresso nella città di Lucca, trasformata da Repubblica “democratizzata”
in Principato di Lucca e Piombino.
Ecco, a proposito di quel giorno, come si
esprime un testimone oculare, l’abate Jacopo Chelini, un nostalgico della
repubblica aristocratica: quell’ingresso “esser non poteva né più significativo
né più brillante” ma, allo stesso tempo “né più quieto né più melanconico
perché non ci potevamo scordare la dolce Libertà che andavamo a perdere”. E così
descrive il momento culminante di quella giornata Eugenio Lazzereschi,
archivista scrupoloso e storico documentato della storia lucchese:
“Il
corteo si apriva con cento cavalieri della Guardia Imperiale, e quattro
distaccamenti di Guardia d’Onore delle principali città d’Italia. La carrozza
delle loro Altezze Imperiali Serenissime era a sei cavalli, scortata da sei
scudieri e seguita dalle molte altre della Corte, dei Ministri e dei
Consiglieri dello Stato. Alla porta Santa Maria del Giannotti si presentarono
sopra un cuscino di velluto le simboliche chiavi d’argento, mentre tuonavano le
artiglierie e tutte le campane erano sciolte a festa. Felice solo discese dal
cocchio, pose la destra nel segno del possesso della città e, corruscante di
decorazioni e di orpelli, saltò agilmente in sella, nonostante i suoi
quarantatre anni suonati e un principio
di pinguedine. Nessuno del popolo folto, ma che non dava manifestazioni di
gioia, aveva ancora veduto la
Principessa; ma le dame d’onore che le avevano fatto
riverenza nella canonica di San Vito, potevano dire che, dopoché aveva lasciato
l’abito del suo rapido viaggio da Genova a Bologna e di là a Pistoia, dove
pernottò, che Elisa era davvero raggiante nel riflesso iridescente del suo
diadema di brillanti, e maestosa come deve essere una pallida regina, sotto il
peso del manto di velluto”.
Magnificenza, lusso, sfarzo, apparati,
formalismi ad alta concentrazione simbolica… Elisa, intorno alla sua persona,
innalzerà una barriera di ben 253 articoli in tema di etichetta che contengono
prescrizioni più severe e minuziose di quelle in vigore presso il palazzo delle
Tuileries, sede per secoli dei re di Francia e ora residenza imperiale.
Gli eroici furori giacobini sono ormai alle
spalle: a Parigi e ancora di più a Lucca. Ce lo dice il fatto che alla fine del
luglio 1805 in piazza San Michele viene rimosso l’ultimo albero della libertà
con tutto il corollario di manifestazioni che gli si svolgeva intorno, per
essere sostituito da cerimonie ben più tradizionali come il Te Deum del 29 VI 1805, nella cattedrale
di San Martino, per ringraziare Dio dell’istituzione del nuovo governo.
I nuovi detentori del potere a Lucca, come a
Milano, come a Parigi, dopo la parentesi rivoluzionaria, tornano all’antica
alleanza trono-altare, col secondo subalterno al primo. Comunque la situazione
a Lucca è piuttosto delicata: quella che s’insedia nell’estate 1805 è una
dinastia straniera, imposta con la forza da un potere imperiale, senza rapporti
tradizionali con il territorio, sopportata con pazienza italica nel migliore
dei casi, accettata strumentalmente in nome dell’antico cinismo, sempre
italico, per cui: “Francia o Spagna purché se magna”. Elisa e Felice sanno che
l’antica aristocrazia non è loro favorevole; ancor meno il clero, tassato nei
suoi beni, spossessato delle sue ricchezze, e che le nostalgie per gli antichi
ordinamenti sono larghe e tiepide le simpatie.
Ad Elisa, Lucca appare troppo quieta, quasi
addormentata in un sonno profondo. Nei suoi programmi c’è l’intenzione di
svegliarla, renderla più dinamica, moderna, imperiale, francese. E il terreno
su cui Elisa in maniera quasi febbrile investe per la trasformazione della
città, per la sua modernizzazione è quello della dell’innovazione culturale:
balli, feste e luminare si accompagnano a profonde trasformazioni urbanistiche,
a novità nella musica, nel teatro, nelle attività editoriali.
Lucca cambia, e, grazie alla determinazione di
Elisa, punta a trasformarsi in una vera capitale moderna. A partire dal
Palazzo, sede del potere civile, che acquista le fattezze monumentali di una
reggia, tra le più eleganti e maestose d’Italia, grazie agli interventi degli
architetti Pierre Theodore Bienaimé e Giovanni Lazzarini, gli stessi a cui è
affidato il compito di trasformare la forma urbana della città e portare un po’
di Parigi a Lucca. E questo avviene con la piazza Napoleone (1806), con via
Elisa e Porta Elisa, aperta nel 1809, per rivolgersi simbolicamente e non più
chiudersi a Firenze, nel momento in cui a Elisa è conferito il titolo di
Granduchessa d’Etruria.
Donna colta, Elisa, amava la lettura di Plutarco
e del preromantico inglese Edward Young, ma la sua passione vera era il teatro,
Corneille, Racine, Moliere: giunta a Lucca da solo un mese, si adopera perché
nel teatro di Bagni di Lucca sia messa in scena una Fedra di Racine in cui non si fa scrupolo di recitare così come
aveva già fatto in Francia. Invitata dalla Principessa, più di una compagnia
teatrale francese si esibì al teatro Castiglioncello di Lucca; ma sia i comportamenti
non proprio esemplari delle attrici francesi, sia i modesti successi, dovuti
alla scarsa affluenza di un pubblico che non conosceva il francese, diradarono
sino all’estinzione questi interventi..
Meno sensibile alla musica, Elisa intercettò, però,
a Lucca importanti tradizioni musicali: intanto la presenza in città, del 1800,
di Niccolò Paganini, già primo violino dell’orchestra della Repubblica.
Inizialmente il rapporto tra i due non è facile. La Principessa preferisce
affidare i ruoli d’autorità alla persone di maggiore anzianità e così Niccolò
perde il suo incarico prestigioso. Per riconquistarlo, però, in breve tempo,
insieme al titolo di Capitano d’Onore delle Guardie e a un posto privilegiato
nel cuore di Elisa. Una relazione amorosa, lo loro, durata alcuni anni,
complicata e tormentata, dai caratteri egocentrici e spigolosi dell’uno e
dell’altra. Un sodalizio erotico/artistico/di potere che si scioglie
definitivamente col trasferimento di Elisa a Firenze nel 1809 e che coincide
col congedo di Paganini dalla corte lucchese. Una parentesi relativamente breve
quella del virtuoso e compositore genovese, mentre la continuità della vita
musicale lucchese è affidata e mantenuta dalle attività, dal lavoro musicale
indefesso di Domenico Puccini, il nonno di Giacomo, musicista eclettico, “buon
pianista e buonissimo suonatore d’organo”. Maestro della Cappella di Palazzo e
organista della Cattedrale, che svolse una frenetica attività musicale di
cantate politiche e d’occasione per le più diverse festività: onomastici e
compleanni dei principi, dell’imperatore, vittorie militari e maternità.
Una musica che se si piega a fini politici e
propagandistici riesce sempre a mantenere carattere di qualità e dignità
formali e fa da vera colonna sonora alle importanti trasformazioni che Elisa
introduce in un corpo sociale ancora asfittico, ancora lento per un’immobilità
durata troppo a lungo: i beni dei conventi sono trasformati in beni demaniali e
queste nuove risorse sono investite in opere di beneficienza e di utilità
pubblica. Sono ampliati e centralizzati gli istituti caritativi, risanate le
carceri, potenziate le istituzioni culturali, promossi premi e gratifiche per
le opere d’intelletto. È costituita la Biblioteca Pubblica
e l’Accademia Napoleone è organizzata secondo i diversi rami delle arti e delle
scienze per quaranta accademici, mentre tra i soci corrispondenti è da
annoverare il meglio della cultura europea, Monti, Paisiello, Canova, David,
Volta, Laplace…
Ma fanno cultura anche le feste e i
divertimenti: il 14 luglio, ribattezzato festa della Concorde; il 15 agosto,
compleanno dell’imperatore; il 2 dicembre, anniversario dell’incoronazione e
della vittoria di Austerlitz; il 3 gennaio, anniversario della nascita di Elisa;
il 18 maggio, san Felice, festa per il Baciocchi, suono di campane spiegate,
spari di spingarde, messa solenne con musica in San Martino. Senza dimenticare
la tradizionale festa della Santa Croce, mentre si diffonde il piacere
dell’acqua e delle terme a Bagni di Lucca e fanno la loro apparizione,
timidamente, i bagni di mare a Viareggio, il porto franco dei lucchesi dove
giocare e spesso rovinarsi a biribisso e praticare per le festività religiose
lauti digiuni a base di eccellenti piatti di pesce. A Lucca si contano ben
cinque cioccolatieri e sette caffeanti, mentre da Parigi non mancano nuovi
arrivi di bottiglie di champagne per la mensa dei Principi che amano combattere
la calura estiva con sorbetti e gelati.
Lucca si va sempre più configurando come
capitale e città europea: una ricca e fortunata stagione che comincia a
oscurarsi nel 1812 con la campagna di Russia, la sconfitta e il tragico ritiro della
Grande Armata attraverso la steppa.
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