foto Gianni Quilici |
E quando sono entrata in un negozio di mobili ho
visto prima di tutto il continuo di un grande discorso tra molti
professionisti, andato avanti per molto tempo. Idee sagomate nel metallo, nelle
resine, nel legno impiallacciato, nelle paste sintetiche, nei tessuti
industriali. E tutte parlavano, avevano un programma molto chiaro di
"funzione ", di cosa è consentito e cosa no, un'opinione arguta e
severa circa la scansione dello spazio. E sopra ancora al piacere dell'oggetto e
a ciò che è consentito dalle necessità c'era la
congettura orgogliosa (superiore? laterale ? posteriore?) di un marchio e il
piacere , questo l'avevo compreso, o l'aspettativa di piacere di riconoscere e
riconoscersi in quell'interpretazione particolare di tempo e di spazio, forse
anche un po' l'ignorare fiduciosamente le strade attraverso le quali un disegno
- di credenza, di libreria, di armadio - un disegno a predizione del futuro e
del presente fosse divenuto un oggetto concreto.
Ma a me piacciono gli
imprevisti. Mi piace toccare un pezzo di legno e sentirlo ispido. Toh, potrei
abituarlo a me. Potrei provare con la carta , potrei metterlo su un paio di
caprette. E poi potremmo mangiare insieme, io e il mio pezzo di legno. Potrebbe
aiutarmi a sostenere un piatto , il fresco della tovaglia e forse una pianta
ancora timida per un vaso più grande. E poi potrei cogliere della ceramica e
disegnare fiori e uccelli, e incollarla sopra un lavabo di pietra.
Mi piace che di un mobile
possa dire: le vedi quelle cicatrici, le ha fatte un cucciolo che era piccolo e
brutto. Poi è diventato un lupo, è stato con me tanti anni e quando è morto gli
toccavo la testa. Lo vedi quel piatto? Ci do da bere alle farfalle. È
scheggiato così ci posso appoggiare un bastoncino e loro non annegano. E a quel
punto se posso faccio una barchetta di carta e la regalo chi mi ascolta. La
volta più bella fu quando una persona cara la prese e andammo insieme a vedere
il mare.
Nessun commento:
Posta un commento