di Marigabri
“Non siamo nati per diventare saggi, ma per resistere, scampare, rubare un po’ di piacere a un mondo che non è stato fatto per noi.”
Questo breve libro, racconto e memoria sentimentale intorno a due vite che si sono spente troppo presto, è dotato di una concentrazione e di una intensità che lasciano il segno; non solo: risvegliano in chi legge analogie di sentimenti, sfavillio di pensieri, fanno intravedere scorci di paesaggi e cominciamenti di sentieri che senza scampo e senza deviazioni portano dritti all’anima.
Trevi afferma che “la letteratura deriva la sua stessa ragion d’essere dal rifiuto di ogni generalizzazione: è sempre la storia di quella persona, murata nella sua unicità, artefice e prigioniera della sua singolarità”.
Ed è proprio rispettando questo principio che ci parla della sua amicizia con Rocco Carbone e Pia Pera, ci partecipa del suo sguardo su di loro, celebrandone l’essenza con pochi, individuati aggettivi: incantevole Pia, saturnino Rocco.
Entrambi complessi, sfaccettati, diversi, ma forse resi simili “da questo compagno segreto, da quest’ombra vanificatrice, da questa orrenda succhiasangue che è l’infelicità.”
Plateale per Rocco, più sottile e meno visibile per Pia.
Molto differente fu invece la loro morte: improvvisa per lui, lenta e disgregante per lei.
Le loro opere testimoniano la preziosità del loro talento, e questo libro ne offre un appassionato omaggio.
Ma ecco che leggendo ci accorgiamo che l’affermazione testé riportata, sulla singolarità della letteratura, si trasforma e addirittura si capovolge nel suo opposto, perché in questo racconto non ci sono soltanto gli intrecci individuali tra le persone che ne rappresentano i soggetti narrativi (Rocco, Pia, l’autore), ma c’è anche un respiro più ampio, il ritmo di un passo più universale, se così si può dire, ovvero più schiettamente e genericamente umano.
“Noi viviamo due vite, entrambe destinate a finire: la prima è la vita fisica, fatta di sangue e respiro, la seconda è quella che si svolge nella mente di chi ci ha voluto bene.”
È questa seconda vita che Trevi, scrivendo, ci induce a sperimentare, non solo per Rocco e Pia, che non abbiamo personalmente conosciuto, ma anche per tutti coloro che abbiamo amato e perduto e che sopravvivono in una zona umbratile del cuore.
“La scrittura è un mezzo singolarmente buono per evocare i morti e consiglio a chiunque abbia nostalgia di qualcuno di fare lo stesso: non pensarlo ma scriverne”... accorgendosi così che la scrittura è una vera e propria chiamata, una convocazione dello e nello spirito.
E per finire (ma molte sarebbero ancora le citazioni significative):
“I nostri amici sono anche questo, rappresentazioni delle epoche della vita che attraversiamo come navigando in un arcipelago dove arriviamo a doppiare promontori che ci sembravano lontanissimi, rimanendo sempre più soli, non riuscendo a intuire nulla dello scoglio dove toccherà a noi, una buona volta, andare a sbattere.”
Inaspettatamente, leggendo questo piccolo limpido libro, io mi sono commossa.
Emanuele Trevi. Due vite. Neri Pozza.
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