di Gianni Quilici
Lo vedo negli scaffali dell’edicola e lo prendo al volo. Sono poco più di 90 pagine e so che lo leggerò con piacere e che forse troverò lo spunto per scriverci.
Ho sempre avuto un rapporto felicemente contraddittorio con il cinema di Bernardo Bertolucci. A volte mi ha conquistato, penso per fare qualche nome, a Strategia del ragno o al Il conformista; altre volte, non mi ha convinto fino in fondo, come per esempio in L’ultimo imperatore o in The dreamers . Tuttavia , più o meno tutti, mi hanno lasciato il desiderio di rivederli, come se dovessi farci ancora i conti non tanto con singoli film, ma con la figura stessa di regista di Bertolucci
Bella la copertina con il volto intenso poco decifrabile del regista, la posa sicura, quasi spavalda, con la mano destra infilata dentro la cintura dei pantaloni e l’altra ivi poggiata e aperta. Quando inizio a leggerlo capisco che non sono articoli come, a un primo sguardo, pensavo, ma un intervento scritto in occasione della laurea honoris causa ricevuta dall’Università di Parma nel 2014, come ci informa Michele Guerra nella bella postfazione.
Il libro è una carrellata veloce della sua autobiografia umana e artistica. Prendono corpo il padre poeta, Attilio, il fratello regista, Giuseppe, la mamma, Ninetta; i luoghi più significativi: Casarola e Parma, Roma e Parigi, il Sahara e la Cina; i suoi maestri, che lo hanno molto influenzato all’inizio: Pasolini e Godard; e infine il cinema e i suoi film.
Ciò che mi colpisce è l’intelligenza della passione. Una passione che nasce dalla vita e che si nutre dell’ossessione, anche speculativa, della rappresentazione. Bertolucci racconta, infatti, cosa ha voluto dire per lui fare cinema, fare film.
Un film come libertà, senza idee precostituite. Una libertà che crea. Una creazione che realizza momenti magici, quasi miracolistici. La sensazione, infine, di sentire la vita del film, come se esso acquistasse una sua vita propria.
E questo come e quando succede? Quando si incontra lo stile. Perché un film, argomenta Bertolucci, è certamente una storia, ma il linguaggio usato oltrepassa i fatti narrati, li rende più ambigui, più misteriosi. “Il carrello ad esempio” scrive “mi ha sempre fatto pensare alla poesia, è come se scrivessi poesie con un tipo di metrica differente: serve per dare movimento, come accade in un verso”.
Ho pensato che “Il mistero del cinema” diventi anche “il mistero Bertolucci”. Il cinema di Bertolucci, infatti, è innamorato non solo della realtà e della sua rappresentazione cinematografica, ma anche del suo pensarla, rimuginarla. Bertolucci è’ stato, infatti, un narratore e un esteta, un intellettuale e un poeta. E il suo mistero è in tutto ciò che i suoi film di complesso e misterioso ci lasciano ancora.
Il mistero del cinema. Bernardo Bertolucci. La nave di Teseo. La repubblica. Pag. 92. Euro 8,50.
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